Ricerca

Il motto del Niguarda Cancer Center è “curare innovando”. 

Questo perché i risultati in oncologia derivano da un continuo slancio verso il rinnovamento e il perfezionamento delle soluzioni terapeutiche. 
L’impegno di Niguarda in questo senso è provato dalle tante sperimentazioni condotte, un lavoro costante che negli ultimi anni ha contribuito allo sviluppo di nuove strade da percorrere nella lotta contro i tumori. E’ una storia che si compone di migliaia di pagine, quelle delle centinaia di pubblicazioni che dall’inizio degli anni duemila hanno trovato spazio sulle più quotate riviste internazionali: Nature, Lancet, solo per fare alcuni nomi. E non solo. Sono storie di successo in cui impegno, determinazione e collaborazioni che funzionano sono quelle leve necessarie da azionare per arrivare alla meta. 


Ce ne parla Salvatore Siena, Direttore del Niguarda Cancer Center, Professore ordinario di Oncologia Medica del Dip. di Oncologia e Emato-Oncologia dell’Università degli Studi di Milano.

Quanto è importante la ricerca in oncologia?
E’ fondamentale. Perché nonostante i passi in avanti compiuti, c’è ancora molto da fare. Non possiamo essere soddisfatti, i tumori rimangono, insieme alle malattie cardio-vascolari, la prima causa di morte nei paesi occidentali. Per questo la ricerca è l’unica via percorribile. E’ un percorso in salita, ma rimango comunque molto fiducioso. Arriviamo da anni di scoperte importanti che hanno rivoluzionato lo scenario delle cure in oncologia. Ci sono stati dei cambiamenti di rotta e oggi si respira un’aria di fermento, a tutti i livelli. Nella clinica, nel laboratorio e nel contesto politico e finanziario, finalmente si spinge con decisione sulla ricerca per questo tipo di malattie. E’ come se ci trovassimo in un nuovo “Rinascimento per la terapia oncologica”, che affonda le sue radici in quanto di buono si è raggiunto fino ad oggi e che ha uno dei suoi pilastri fondamentali nella genomica. Perché è lì, nel sentiero che porta al DNA e alle sue mutazioni che c’è uno dei fronti più attivi.

Che tipo di ricerca si fa a Niguarda?
E’ una ricerca clinica con l’obiettivo di identificare nuove modalità di cure oncologiche. E’ un tipo di attività che non può prescindere da collaborazioni esterne, soprattutto per la “fase di gestazione” che contribuisce alla nascita di un nuovo farmaco e che si svolge necessariamente in laboratorio su modelli pre-clinici. Noi scendiamo in campo per l’ultimo miglio, che è quello determinante: l’utilizzo di queste nuove terapie sui pazienti. E’ la cosiddetta “fase 1” dei trial e Niguarda è tra i pochi centri in Europa che hanno avuto la certificazione dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) per condurre questo tipo di attività.

Non solo “microscopio e laboratori” ma…
La nostra è una ricerca che arriva diretta al letto del paziente. Grazie anche agli sforzi messi in campo con la Fondazione ci siamo dotati di figure di raccordo: biologi e coordinatori di ricerca clinica che si occupano in particolar modo di inserire i dati che ogni giorno raccogliamo dall’utilizzo delle terapie sperimentali. Sono una cerniera fondamentale che mettono in comunicazione il mondo clinico con quello del laboratorio, e solo attraverso uno scambio bidirezionale la ricerca può avanzare. E poi ci sono i nostri medici affiancati anche da figure specializzate per l’assistenza, ad esempio abbiamo in organico due infermieri dedicati all’area di ricerca. Sono loro che si prendono cura di tutte le necessità delle persone che prendono parte ai protocolli sperimentali.

Ha parlato di collaborazioni, quali sono quelle principali?
Grazie a Fondazione, un sodalizio storico ci unisce al team dell’Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo. Molte delle più importanti scoperte sono state condotte in tandem su quest’asse che lega Torino a Milano. Ci sono tanti altri partner di ricerca come l’Istituto dei Tumori di Milano e l’IFOM di Milano, c’è la collaborazione con AIRC- Associazione Italiana per la Ricerca contro il Cancro, ma la rete è più ampia e si estende anche a livello internazionale. Con un grant stanziato dalla Comunità Europea lavoriamo su progetti comuni insieme all’Università di Barcellona, quella di Lovanio in Belgio e quella di Amsterdam in Olanda. Ci sono poi partnership attive con Mayo Clinic negli States e con i colleghi giapponesi, in particolare con il National Cancer Institute di Tokyo.

Quali sono le aree a più alta specializzazione nella vostra attività di ricerca?
Nell’area dell’ematologia negli ultimi anni ci sono state importanti pubblicazioni e scoperte che riguardano il panorama terapeutico contro mutazioni di leucemia acuta. Per quanto riguarda i tumori solidi, invece, Niguarda ha saputo costruirsi una solida reputazione internazionale nel campo del tumore al colon retto. Sono diverse le pubblicazioni in quest’ambito. Tra le principali nel 2004 quella che ha portato al perfezionamento delle terapie anti-EGFR, nel 2007 invece c’è stata la scoperta delle mutazioni RAS/BRAF. Risale al 2011 lo studio dell’amplificazione del gene HER2 che ha portato alla scoperta della nuova terapia per il carcinoma HER2+. Due anni dopo nel 2013 abbiamo individuato l’amplificazione di RAS, BRAF e MET e, successivamente, la presenza di rare traslocazioni tumorali (NTRK). Sono tutte alterazioni che abbiamo studiato e individuato come bersagli di terapia per il tumore del colon retto. In pratica in base al tipo di “impronta digitale molecolare” che il tumore presenta (e che quindi cambia da paziente a paziente) si seleziona la terapia che dà i risultati migliori per quel caso individuale. Si evitano così tentativi a vuoto con altri farmaci e i possibili effetti collaterali.

I risultati di cui parla si inseriscono nel contesto della medicina di precisione, in pratica ogni tumore è diverso da un altro e solo studiando la “carta d’identità genomica” si può intervenire con le cure a maggior beneficio. Oggi le cose stanno un po’ cambiando?
Sì, questo approccio funziona, porta a sviluppare dei farmaci a bersaglio molecolare che colpiscono selettivamente solo le cellule neoplastiche. Abbiamo visto però che le cellule tumorali via via si adattano, sviluppando nuove mutazioni di resistenza , che a loro volta possono rappresentare un’importante novità terapeutica. In questo modo le terapie molecolari potranno associarsi ai “classici” chemioterapici, che negli ultimi anni sono andati incontro ad un perfezionamento notevole. C’è poi il nuovo pilastro di cura, rappresentato dall’immunoterapia in cui si stimola il sistema immunitario ad attaccare il tumore. La nuova frontiera è un mix ad ampio raggio che contempli tutti i possibili approcci, senza dimenticare chirurgia e radioterapia. Se fino a qualche anno fa si guardava alla medicina di precisione come la soluzione definitiva, oggi abbiamo la conferma che da sola non basta.